Per temperature inferiori e superiori alla soglia (25°percentile per il freddo e al 75° percentile per il caldo, in Italia tra il 2006 e il 2010, si sono verificati circa 5200 incidenti sul lavoro all’anno.

Diversi studi hanno evidenziato “un impatto delle temperature eccessivamente elevate sulla salute dei lavoratori” e hanno mostrato che laddove il lavoro espone a situazioni di vulnerabilità (sforzo fisico intenso, lavorazioni all’aperto, sinergia fra esposizioni indoor e outdoor), “in condizioni di temperature elevate (anche non estreme)” aumenta il rischio di infortuni, “con conseguente riduzione della produttività [Levi et al., 2018; Morabito et al., 2020] e un aumento dei costi per la sanità pubblica”.

 

Gli effetti immediati delle elevate temperature sulla salute dei lavoratori “sono caratterizzati dall’aumento della fatica percepita, dovuta spesso a una sensibile disidratazione, e dalla riduzione delle capacità di concentrazione e di reazione”. In particolare l’associazione fra esposizione occupazionale a temperature estreme e rischio di infortunio sul lavoro “è di particolare importanza considerando che molte attività lavorative si svolgono all’aperto con l’ulteriore aggravante che lavorazioni complesse e pesanti sono spesso programmate d’estate perché molti materiali devono essere manipolati a temperature elevate ed inoltre in estate è minore la probabilità di pioggia”.

Si indica poi che gli orari di lavoro “spesso comprendono le ore più calde e soleggiate della giornata a elevato rischio di stress termico (14:00 – 17:00) e molte attività professionali richiedono un intenso sforzo fisico abbinato spesso all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI) che, limitando la dispersione di calore corporeo, rappresentano un ulteriore fattore aggravante gli effetti del caldo. In situazioni in cui il calore assorbito dal corpo non viene dissipato sufficientemente si verifica uno stress termico la cui intensità dipende anche dal livello di acclimatazione del lavoratore”.